domenica 11 maggio 2014

Il futuro della riabilitazione ? E' nei robot.


Foto di Silvestro Micera  e il suo lavoro all' EPFL

Afferrare una tazza o fare le scale, questo è il sogno di migliaia di persone che hanno perso l’uso degli arti.
Grazie alla robotica questo sogno potrebbe divenire presto realtà!
La riabilitazione robotica è basata su esercizi ripetitivi finalizzati ad un esperienza sensoriale-motoria che affianca la terapia classica. Diversi studi hanno dimostrato un recupero significativo del movimento degli arti per i pazienti che ne fanno utilizzo. Ma più in generale possiamo constatare che l’impiego di nuove tecnologie in ambito riabilitativo è una pratica  perseguita da anni e i risultati ottenuti fin ora sono davvero sorprendenti. Come riportato rispettivamente da il "Corriere della Sera" e "Il Sole 24 oreDennis Aabo Sørensen ed il progetto “Rewalk“ sono un esempio di quanto la robotica possa influenzare il recupero delle abilità. Partiamo dal primo: Dannis Sørensen.




E' la prima persona ad avere una protesi robotica collegata ai nervi del suo braccio. La protesi in questione inoltre, ha la particolare caratteristica di riuscire a trasmettere in tempo reale informazioni sensoriali. Il lavoro condotto dall' EPFL di Losanna (qui descritto), ha permesso al paziente di percepire diverse sensazioni, quali la forma dell’oggetto che teneva in mano e la pressione applicata su quest ultimo. Nel breve periodo i risultati ottenuti da questo dispositivo sembrano ottimi, se si riuscirà ad estendere l’utilizzo per tempi più lunghi  la qualità di vita dei pazienti con arti amputati come Dannis sicuramente potrà migliorare e di molto. Il secondo: “Rewalk”.



È un progetto che permette perfino ai pazienti paraplegici di camminare ad una velocità di 3 km/h. Rewalk si compone di due elementi principali: un dispositivo indossabile al polso simile ad un orologio, che permette di selezionare il tipo di movimento da compiere (camminare, sedersi o fare le scale ) ed un esoscheletro dotato di quattro motori elettrici e sensori di movimento. Questo circonda gli arti dei pazienti e ne assiste le movenze.

Di fronte a tali progressi tecnologici sorgono spontanei dibattiti in cui ci si interroga sui limiti di tale tecnologie. Questi sistemi forniranno semplice assistenza all'uomo o ne faranno parte integrante? Ancora non ci è dato sapere la risposta a questa domanda, ma sicuramente la linea di confine che demarca l'uomo dalla macchina è potenzialmente sempre più sottile. Basti pensare a Jan Scheuermann, una donna di 53 anni paralizzata dal collo in giù, che grazie a degli elettrodi impiantati nella sua corteccia cerebrale, è riuscita a controllare con il pensiero un braccio robotico.



La ricerca e lo sviluppo su questi progetti vive una fase intensa e se le premesse sono queste, noi non possiamo far altro che confidare nella tecnologia come un ponte che collega l'umanità ad un futuro migliore. Ad oggi questi strumenti robotici rappresentano una speranza unica per chi vive in condizioni avverse ed è da sempre svantaggiato. Se essi saranno il primo passo verso una società che sfrutta l'automazione per restituire gli individui al mondo che li circonda, sta a noi scoprirlo. Nel frattempo potremo forse crogiolarci nel vedere quanto dell'ingegno umano si tramuta in macchina intelligente.

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